SE SI FOSSE SCAVATO VICINO
"Forse si sarebbe potuto sapere di più, se, invece di guardar lontano, si fosse scavato vicino"
(Alessandro Manzoni, I Promessi sposi, Capitolo X).
Con questo incipit si apre la mia ricerca sul Monte san Francesco di Velate che risale al 2007 e che è stata pubblicata per la prima volta dall'editore Macchione nel 2009.
Scavare vicino è anche l' esortazione che ho rivolto - già all'epoca della prima presentazione del libro a Velate nella primavera del 2009 - alla Soprintendenza Archeologica della Lombardia sulla base di una conclusione certa: San Francesco in Pertica , come indica il toponimo, è stato un cimitero longobardo prima ancora che un convento francescano.
Narra infatti Paolo Diacono, storico e narratore longobardo del VII secolo: "Quando un guerriero moriva in terra lontana, i suoi parenti piantavano in suo ricordo una pertica, sormontata da una colomba con la testa rivolta al luogo dove era scomparso il loro caro".
E che una di queste colombe sia stata ritrovata sul terreno dirimpetto alle rovine del convento, nel pianoro che si affaccia a sinistra del sentiero che scende verso Velate, è un fatto accertato.
In una sua memoria citata nel mio libro Giuseppe Nicolini, il volontario varesino che ha preservato i ruderi del convento dalla definitiva scomparsa con la sua attività di manutenzione, racconta: "Durante l'inverno del 1944 tornai ancora sul Monte San Francesco, con altre persone, per procurarmi legna da ardere. In una di queste occasioni, nei pressi della vetta, sul tratto pianeggiante che guarda verso il Sacro Monte, trovai due ragazzi ed un adulto che avevano tagliato un castagno secco e stavano cavando dal terreno la ceppaia. Un ragazzo mi mostrò un oggetto di terracotta, dalle sembianze di un uccello. E mi disse di averlo trovato scavando nel terreno già mosso intorno alla ceppaia".
E allora perché la Soprintendenza, pur mettendo il luogo sotto la sua giurisdizione da decenni, come è indicato dai cartelli posti sul sito, non ha mai scavato?
E' probabile che se lo facesse potrebbero essere riesumate quelle tombe dell'epoca longobarda, con tutto il loro "tesoro" archeologico: elmi, corazze, armature e chissà quant'altro.
Funzionari di quell'Ente hanno avuto a suo tempo il mio libro in occasione di convegni svoltisi a Varese, ma nonostante le loro rassicurazioni, nessuno si è mai mosso. E intanto sono passati 14 anni.
Chissà che anche tramite quei volontari che oggi hanno raccolto l'attività di Giuseppe Nicolini, prima o poi qualcuno non si decida a farlo con gli strumenti adatti all'opera.
Ne guadagnerebbe senz'altro il nostro patrimonio culturale locale, con evidenti ricadute sull'economia turistica cittadina.
Andrea Ganugi